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mercoledì 28 giugno 2017

Le "Noci da Preghiera" Gotiche: Rarissime Miniature Intagliate nel Legno di Immenso Valore

Annalisa Lo Monaco

 Altissime guglie appuntite ed enormi vetrate colorate di imponenti cattedrali, sono solitamente le prime cose che vengono in mente quando si parla di arte gotica. Eppure, esistono poche e rarissime opere d’arte gotica, talmente piccole da poter essere tenute agevolmente in mano.
 Anzi, era proprio questo lo scopo di queste preziose miniature lignee, che furono create da sconosciuti artisti come oggetti di devozione religiosa personale, destinati alla nobiltà dell’epoca.
Queste incredibili “noci da preghiera” furono prodotte, si presume in numero limitato (oggi ne rimangono appena 150), tra il 15° e il 16° secolo, soprattutto nei Paesi Bassi e nelle Fiandre.
 Ogni pezzo è sorprendente, ricavato in un unico pezzo di legno di bosso, materiale duro ma dalla grana fine, particolarmente adatto ad essere intagliato, e piacevole al tatto dopo la lucidatura.
 Esternamente possono apparire semplicemente come sfere di legno, o figure decorative, ma quando si aprono rivelano un’incredibile opera d’intaglio, la cui precisione talvolta non è apprezzabile ad occhio nudo.


Giudizio Universale e Incoronazione della Vergine

 

Adorazione dei Magi in basso

Gli intricati rilievi rappresentano episodi del Vecchio e Nuovo Testamento (Adorazione dei Magi, Gesù che entra a Gerusalemme), ma anche narrazioni non presenti nella Bibbia, come l’Incoronazione della Vergine.
 Religiosamente significativi, questi oggetti risultano preziosi per l’incredibile quantità di dettagli, che richiedevano una lunghissima lavorazione: secondo le storiche dell’arte Lisa Ellis e Alexandra Suda, per completare ogni miniatura occorrevano circa 30 anni!
 Si trattava quindi di costosi oggetti di lusso, status symbol prodotti nella gran parte su commissione, per personaggi di altissimo rango: Enrico VIII d’Inghilterra, Caterina d’Aragona, l’imperatore Carlo VI erano tra i possessori di questi oggetti unici.
 Oggi, queste minuscole opere d’arte, possono essere ammirate alla Art Gallery of Ontario, al Metropolitan Museum di New York, e al British Museum (all’interno del Lascito Waddesdon). Data la loro rarità, sul mercato dell’arte hanno un valore immenso, e l’ultima asta di un oggetto simile ha raggiunto l’impressionante cifra di 133.250 sterline.

 

lunedì 26 giugno 2017

domenica 25 giugno 2017

Vita e storia Del Conte Cagliostro , dove di nobile vi era ben poco .

Il Conte di Cagliostro o più semplicemente Cagliostro. Il solo nome è tutto un programma. Si perde mezza giornata solo a scriverlo tutto per esteso: Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Balsamo. Egli nacque a Palermo il 2 giugno 1743 e morì nella fortezza di San Leo il 26 agosto 1795.

Avventuriero, esoterista e alchimista italiano, trascorse una intera vita tra imbrogli e viaggi (forse sarebbe meglio chiamarle con il loro vero nome: fughe).
Ma cominciamo dall'inizio.
Il giovane Cagliostro ebbe un'infanzia difficile.
Perse il padre, un venditore di stoffe, poco dopo la sua venuta al mondo. Evento che lo obbligò a trascorrere i suoi primi giovani anni all'interno di un istituto per orfani sotto la guida degli Scolopi. Si dimostrò fin da subito irrequieto. Non passava notte senza che egli avesse tentato la fuga da quel istituto vissuto come prigione.
Per questo la famiglia presto decise di affidarlo al convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone.
Lì il ragazzo trascorse buona parte della sua giovinezza. Imparò le arti delle erbe medicinali e dell'alchimia.
A questo punto c'è un vuoto storico che non possiamo riempire con delle certezze.
Non è chiaro se ad un certo punto scappò dal convento o se ne fu allontanato. Quello che si sa è che, quando tornò nella sua Palermo, truffò immediatamente un fabbro avido e superstizioso: Marano.
Ecco quindi l'inizio dei suoi viaggi.
Per sottrarsi alla giustizia, parte e si reca a Messina.
 
Lì pare avesse conosciuto Altotas. Colui che definisce come primo suo maestro.
Insieme ad egli visitò l'Egitto, Rodi e Malta.
Fu proprio Altotas a introdurlo nell'ordine dei Cavalieri di Malta.
Ma il condizionale è d'obbligo. Tutti questi dettagli sono estratti dal Memoriale dello stesso Cagliostro. Possiamo mai fidarci della sua penna? Direi di no. Quindi prendiamo queste informazioni con le pinze.
Di certo nel 1768 Cagliostro venne arrestato a Roma per una rissa nella Locanda del Sole in piazza del Pantheon. Fu scarcerato dopo tre giorni per intercessione del cardinale Orsini.
E di certo, sempre nello stesso anno, sposò una bella ragazza, figlia di un fonditore di bronzo.
 Nel certificato di matrimonio non compare nessun titolo nobiliare ma la sola dicitura di “Giuseppe Balsamo” figlio del fu Pietro, palermitano. Nessun accenno o uso della parola Cagliostro.
Ma come si manteneva il giovane Giuseppe Balsamo a Roma?
Poiché era un discreto disegnatore, ben pensò di falsificare dei documenti assieme all'aiuto di due conterranei: il sedicente marchese Alliata e un tale Ottavio Nicastro, che morirà poi impiccato per aver ucciso l'amante, e che denuncerà i suoi due complici d'essere dei falsari.
Denunciato e perseguito dalla legge Cagliostro dovette lasciare Roma assieme alla moglie ed il socio marchese. Destinazione: Bergamo, dove continuarono a truffare e, una volta pizzicati, furono incarcerati.
Rilasciati si trasferirono in Francia dove conobbero Giacomo Casanova che definì il Cagliostro «un genio fannullone che preferisce una vita di vagabondo a un'esistenza laboriosa».

Ma come si mantenne in Francia?
Questa volta ben pensò di far prostituire Lorenza, sua moglie.
Una volta messo da parte un certo gruzzoletto, tutti e tre si trasferirono in Spagna. Precisamente a Barcellona, dove la povera donna (che avrebbe fatto meglio a non lasciare le braccia del padre) venne spinta nel letto di ricchi personaggi. Uno di questi fu il marchese di Fontanar che li mantenne nel suo palazzo fino al 1770.
Senza casa la strana coppia si trasferì a Lisbona dove ancora una volta Lorenza divenne l'amante di un personaggio importante. Questa volta il banchiere Anselmo La Cruz.
L'anno successivo Balsamo si trasferì a Londra dove provò a guadagnarsi la vita onestamente come disegnatore di pergamene. Ma il duro lavoro sembrò non pagare e, con la complicità dell'ennesimo sedicente marchese siciliano (Vivona), mise in atto una scenata teatrale ai danni di un ingenuo religioso protestante colto ad amoreggiare con Lorenza e spinto a pagare una ingente somma di denaro per riscattare l'onore del marito cornificato: il Cagliostro stesso. Ma “chi la fa l'aspetti”. Il socio in affari (sarebbe meglio chiamarli imbrogli), infatti, derubò il cagliostro che, insolvente con la padrona di casa, fu sbattuto in carcere fino a quando Lorenza (santa donna) lo fece scarcerare grazie all'intercessione del ricco sir Edward Hales.
Quest'ultimo si convinse, chissà su quali basi, che il Cagliostro fosse un abile pittore. Per questo gli affidò l'incarico di decorare la propria casa. Ma presto capì di aver fatto un errore e si trovò senza affreschi, più leggero di tasche e con la figlia sedotta dal palermitano.
 Il 1772 fu l'anno della separazione dalla moglie.
In quella data infatti la coppia si trasferì in Francia, per ripetere l'ennesimo copione: Lorenza diventò l'amante di un ricco avvocato (che tra le altre cose amministrava i beni della marchesa de Prie ) ed il cagliostro si grattava la pancia. Ma qualcosa cambiò. Lorenza era stanca di quella vita e decise di mollare il marito ed abbandonarsi alle braccia del buon e ricco avvocato, che sembrava realmente innamorato e che la manteneva in una casa distante dalla sua abitazione perchè all'epoca giacere con una donna legalmente coniugata costituiva reato.
Giuseppe quindi si trovò senza moglie e con una denuncia per sfruttamento della prostituzione.
Ma il furbo palermitano non ci sta e controdenuncia la donna per abbandono del tetto coniugale. Questa volta la legge lo riconobbe parte lesa e Lorenza fu costretta a trascorrere 4 mesi in prigione a
Sainte-Pelagie. Dopo quei terribili mesi ritrattò la denuncia per prostituzione ai danni del marito e ritornò con lui. Fu la volta di Belgio, Germania, Italia, Malta, Spagna e nuovamente Londra nel 1776.
 
A Londra adottò definitivamente il nome di Alessandro di Cagliostro, ma continuò ad entrare ed uscire di galera per truffa (prediva i numeri estratti nel gioco del lotto – ora lo fanno in tv!) e furto di gioielli ad ingenui proprietari ingannati dalle sue falsi doti di alchimista che avrebbe potuto aumentarne il valore.
Nel 1777 entrò assieme alla moglie a far parte della Massoneria, nella loggia "L'Espérance".
Nel frattempo anche la moglie cambiò nome e diventò Serafina, contessa di Cagliostro.
Ma ciò che restò uguale fu la voglia del Cagliostro di vivere d'espedienti.
A Jelgava si spacciò per colonnello spagnolo e tenne riunioni nelle quali si presentava come  appartenente a una società segreta e come essere superiore capace di avere e di far avere visioni mediante l'idromanzia, di evocare spiriti e di essere un sapiente la cui conoscenza si trovava “In verbis, in herbis, in lapidibus” – nella parole, nelle erbe e nelle pietre.
In realtà era ancora un semianalfabeta, anche se abile improvvisatore.
Negli anni successivi vendette ai nobili dell'epoca e di ogni paese le sue doti di alchimista – capace di trasformare il piombo in oro (“semplicemente sostituendo con un gioco di prestigio le pentole contenente il piombo con delle uguali aventi all'interno del vero oro”) – e di medico – infallibile guaritore di ogni male (dietro gentile esborso di denaro, ovviamente).
Fu proprio attorno al 1780 che la sua fama toccò il culmine. E preso dalla smania di dover apparire e vivere in maniera dissoluta, si mise in testa di fondare un suo ordine mistico:  la Massoneria di Rito Egizio. Si autoproclamò ovviamente Gran Cofto e fece della moglie, ora nota come la principessa Serafina e Regina di Saba, Grande Maestra del Rito d'adozione, ossia della Loggia riservata alle donne.
 
Scopo del Rito Egizio era la rigenerazione fisica e spirituale dell'uomo, con un ritorno alla condizione precedente al peccato originale, attraverso un rito di 80 giorni tenuto dal Gran Cofto stesso ed altri 12 suoi maestri.
In quest'idea il Cagliostro investì tutto se stesso.
Partì per la Francia alla ricerca di un terreno ove far sorgere la sua Loggia: "La sagesse triomphante". I coniugi comprarono un pezzo di terreno e mentre i lavori erano in corso d'opera, si recarono a Parigi per formalizzare il tutto.
 
Tutto sembrava andare per il meglio quando all'improvviso uno scandalo travolse Lorenza ed il Cagliostro.
 
Era il 1774 ed il gioielliere di corte Boehmer aveva realizzato una elaboratissima collana di diamanti, del valore di 1.600.000 livres – poco meno di cento milioni di euro – per Maria Antonietta, la regina. Ma ella rifiutò l'acquisto.
Con un prezioso di tale fattura il conte e la contessa De la Motte organizzarono una truffa ai danni del cardinale de Rohan, che nel frattempo aveva perso i favori della regina, dopo aver offeso in passato sua madre definendola in una lettera al duca d'Aiguillon, un'insopportabile ipocrita.
Ma conte e contessa furono smascherati e per attenuare le loro pene additarono come ideatore del raggiro il Cagliostro, che per questo fu arrestato nel 1785 ed incarcerato nella Bastiglia.
Un anno dopo il tribunale di Parigi riconobbe l'innocenza dei due italiani, ma il re ordinò comunque loro di lasciare la città entro otto giorni e di abbandonare la Francia entro 20.
 
La coppia si recò a Londra dove la vita gli fu resa difficile dal giornale Courier de l'Europe, controllato dal governo francese, che mise alla berlina, tutto il passato del Cagliostro con perizia di dettagli. Ma la faccia tosta non si perde da un giorno all'altro ed in una avventurosa lettera al giornale replicò: «non sono conte, né marchese, né capitano. La mia vera qualifica è inferiore o superiore a quelle che mi sono state date? È ciò che forse un giorno il pubblico saprà! Intanto, non mi si può rimproverare d'aver fatto quel che fanno i viaggiatori che vogliono mantenere l'anonimato. Gli stessi motivi che mi hanno indotto ad attribuirmi vari titoli, mi hanno condotto a cambiare più volte il mio nome […] Nessun registro di polizia, nessuna testimonianza, nessuna inchiesta della polizia della Bastiglia, nessun rapporto informativo, nessuna prova hanno potuto stabilire che io sia quel Balsamo! Nego di essere Balsamo!».
 
Nonostante questo tentativo la fortuna che lo aveva accompagnato fino ad ora sembrava essersi smarrita. Lasciò Londra per Bienne, in Svizzera.
 
Nello stesso periodo, Goethe, nel suo lungo viaggio in Italia, approdò a Palermo desideroso di  confermare quanto scritto dal Courier de l'Europe. E, spacciandosi per un inglese che doveva portare ai famigliari notizie di Cagliostro, giunto di recente a Londra, visitò la madre e la sorella di Giuseppe Balsamo.
 
La loro casa era molto povera, sebbene fosse pulita.
La sorella, in particolare, aveva dovuto riscattare diversi oggetti da lui impegnati in passato ed ancora aspettava un aiuto economico che risanasse i vecchi debiti ed allo stesso tempo permettesse a lei e sua madre di vivere in maniera poco più agiata (visto che le voci lo volevano facoltoso e popolare).
 
Madre e sorella quindi consegnarono a Goethe una lettera pregandogli di riferirgli, quando lo avrebbe visto, le seguenti parole: «quanto mi hanno resa felice le notizie che Ella ci ha portato. Gli dica che lo tengo chiuso nel mio cuore così – e a questo punto spalancò le braccia e se le strinse al petto – che ogni giorno nelle mie devozioni prego per lui Dio e la Santa Vergine, che gli mando la mia benedizione, insieme a sua moglie, e che prima di morire vorrei solo che questi occhi, che tante lacrime hanno versato per amor suo, lo potessero rivedere».
 
Goethe non li rivedrà. Però mandò di sua tasca la somma richiesta dalla sorella: 14 once d'oro.
 
Il 23 luglio 1788 il Cagliostro partì con Lorenza alla volta di Aix-les-Bains e poi per Torino. Ma vennero immediatamente allontanati dalla città ed allora si rifugiarono a Genova ed in fine a Trento, dove questa volta fu ben accolto dallo stesso principe-vescovo Pietro Vigilio Thun, il quale si prodigò affinchè lo stato pontificio accogliesse come pecorella smarrita e poi ritrovata il Cagliostro, che si era ormai ravveduto del suo passato Massonico.
 
Egli si recò quindi a Roma, per poter avere udienza dal papa.
Ma si sentiva un osservato speciale ed i suoi passi erano molto prudenti.
Purtroppo un giorno lo avvicinarono due spie del Governo pontificio, Matteo Berardi e Carlo Antonini, con la richiesta di accoglierli nella Massoneria. Il Cagliostro, senza sospettare di nulla, acconsentì. Iniziò le due spie, così violando la legge Pontificia contraria all'organizzazione di società massoniche.
 
La denuncia delle spie non tardò ad arrivare. Supportata anche dalle rimostranze del padre di Lorenza che mal avrebbe potuto continuare a digerire la relazione tra sua figlia e Giuseppe Balsamo.
E nella notte del 27 dicembre 1789 Cagliostro venne rinchiuso in Castel Sant'Angelo, mentre Lorenza nel convento di Sant'Apollonia a Trastevere. Le imputazioni contro il palermitano erano  pesantissime: esercizio di attività di massone, di magia, di bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi, contro i culti della religione cattolica, di lenocinio, di falso, di truffa, di calunnia e di pubblicazione di scritti sediziosi. Per tutto questo la pena era una sola: la morte.
Il Cagliostro fu difeso da Carlo Costantini la cui linea difensiva fu quella di far passare Giuseppe Basile per un ciarlatano di poco conto e la moglie per prostituta e quindi test poco attendibile.
 
In tutti i casi la sentenza non tardò ad arrivare. Eccola: «Giuseppe Balsamo reo confesso e respettivamente convinto di più delitti, è incorso nelle censure e pene tutte promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti, eresiarchi, maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur nelle censure e pene stabilite tanto nelle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV contro quelli che in qualunque modo favoriscono e promuovono le società e conventicole de' Liberi Muratori, quanto nell'Editto di Segreteria di Stato contro quelli che di ciò si rendano debitori in Roma o in alcun luogo del Dominio Pontificio.
  A titolo però di grazia speciale, gli si commuta la pena della consegna al braccio secolare nel carcere perpetuo in una qualche fortezza, ove dovrà essere strettamente custodito, senza speranza di grazia. E fatta da lui l'abjura come eretico formale nel luogo della sua attual detenzione, venga assoluto dalle censure, ingiungendogli le dovute salutari penitenze.

Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie Égyptienne sia solennemente condannato come contenente riti, proposizioni, dottrina e sistema che spiana una larga strada alla sedizione, ed è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo, empio ed ereticale. E questo libro stesso sia pubblicamente bruciato dal ministro di giustizia insieme cogl'istromenti appartenenti alla medesima setta. Con una nuova Costituzione Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le Costituzioni de' Pontefici Predecessori, quanto anche l'accennato Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e Conventicole de' Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione della Setta Egiziana, e dell'altra volgarmente chiamata degli Illuminati, con stabilirsi contro tutti le più gravi pene corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si ascriverà o presterà a favore di tali sette. »
 
Lorenza fu assolta.
 
In carcere il Cagliostro cominciò presto a dare segni di instabilità psichica. In effetti le condizioni in cui era tenuto non erano certamente le migliori. Frequenti ribellioni, crisi mistiche, lunghissimi isolamenti in luoghi bui ed umidi.
Il silenzio era interrotto solamente da quell'uomo che gli passava due volte al giorno il pasto.
Il 23 agosto 1795 venne trovato semiparalizzato sul suo tavolaccio. Tre giorni dopo spirò.
 
Fu sepolto come un infedele, indegno dei suffragi di Santa Chiesa. Nessuna cassa. Non una indicazione. Un fazzoletto gli copriva il volto ed un sasso gli sorreggeva la testa. Poi la nuda terra lo ricoprì.

sabato 24 giugno 2017

La "Olympias" Antica Trireme Ateniese Ricostruita

La Olympias è l’unico esemplare al mondo di un’antica trireme ateniese, ricostruita grazie ai finanziamenti della Marina Militare Greca fra il 1985 e il 1987. La nave, che misura 36,9 metri ed ha un peso di 70 tonnellate, è in secca ormai da tempo, ma grazie all’accuratezza della ricostruzione e alle prove fatte in mare, gli Archeologi sono stati in grado di ottenere importanti indicazioni riguardanti il funzionamento e la natura della navigazione ai tempi dell’antica Grecia. Quella della Olympias è una prova di “Archeologia Sperimentale” che nasce da un’associazione privata, la Trireme Trust Britannica.  I personaggi chiave della costruzione furono tutti inglesi: Frank Welsh, banchiere e ideatore del progetto, John Francis Coates, architetto navale, John Sinclair Morrison, storico, e infine il professor Charles Willink del Marlborough College in Inghilterra.
 Nonostante progetto e idee della nave siano interamente provenienti dalla Gran Bretagna, la nave fu costruita nel porto del Pireo, in un cantiere navale. Anche i finanziamenti furono Ellenici, con la Trireme Trust che riuscì a convincere il Ministero della Cultura e la Marina Militare Greca a pagare interamente la realizzazione dell’opera.
 Per costruire una nave in uno stile di oltre 2.500 anni orsono si utilizzarono materiali disponibili a quell’epoca, quindi in larga parte il legno e il bronzo. Sono di bronzo i chiodi, l’enorme rostro da 200 chilogrammi e diversi dettagli decorativi dell’imbarcazione. Un elemento completamente differente dall’antica Grecia è senz’altro il legno, che in questo caso è di provenienza statunitense, utilizzato per limitare i costi.
 Altri elementi certamente differenti dalle antiche navi Ateniesi sono l’ancora, che a quei tempi non era stata ancora inventata, e l’Hypozomata, la cima che tiene in tensione fra loro la prua e la poppa della nave. Questo collegamento era fondamentale per garantire stabilità all’intera struttura, visto che la nave era montata con il sistema di Tenone e Mortasa, il classico “maschio-femmina” che incontriamo anche nelle sedie di casa.
 L’Hypozomata antica era realizzata con la canapa, un materiale resistente ma deperibile. Per ovviare al problema i costruttori utilizzarono l’acciaio, che è sì più resistente, ma anche molto meno duttile della canapa. Al momento dell’impiego della barca, l’Hypozomata in acciaio si è rivelata totalmente inadatta, perché non in grado di applicare la stessa tensione allo scafo al momento di solcare le onde. In pratica, la canapa riusciva a mantenere una tensione costante in funzione della forza del mare, mentre l’acciaio non aveva la stessa escursione elastica dell’antica corda impiegata dai greci.
 La Olympias è stata impiegata, con i suoi 170 rematori, in poche occasioni, fra cui il passaggio della torcia olimpica dal porto di Keratsini a quello del Pireo, nel 2004. Utilizzata anche come nave-test, è stata in grado di raggiungere i 17 chilometri orari e di virare rapidamente di 180°, con un raggio di curvatura di circa 100 metri, due volte e mezza la lunghezza della nave stessa. Visti i risultati ottenuti, peraltro impiegando esclusivamente rematori appassionati e imparagonabili per forza e tempra a quella dei professionisti dell’Antica Grecia, sono stati oggetto di riconsiderazione gli antichi documenti storici greci, che erano parsi, sino a quel momento, esagerati nel descrivere le doti navali delle imbarcazioni elleniche.
Oggi la Olympias si trova in secca nel museo navale di Palaio Faliro, nella periferia di Atene. Viene visitata da turisti e scolaresche e rappresenta uno splendido esempio di archeologia sperimentale marina.

Fonte :http://www.vanillamagazine.it

lunedì 19 giugno 2017

Chi era l'Uomo nella Maschera di Ferro?

Un Mistero insolubile a oltre 3 secoli dalla morte.


 Da diversi secoli molti storici, scrittori e filosofi cercano di dare una risposta ad uno dei misteri che ha maggiormente incuriosito l’opinione pubblica di ogni epoca, grazie anche ai numerosi libri e film (in tempi recenti) che ne hanno parlato.

 Il filosofo Voltaire scrisse, nel 1771, che il detenuto altri non era se non il gemello, o il fratello maggiore, ma illegittimo, di Luigi XIV. Lo scrittore Alexandre Dumas, rifacendosi a Voltaire, nel terzo e ultimo libro sulle avventure dei Tre Moschettieri (Il Visconte di Bragelonne), inserisce un’episodio che narra della storia romanzata della Maschera di Ferro. Secondo Dumas, il prigioniero era il fratello gemello di Luigi XIV.

 Maschera di Ferro era il nome con cui veniva indicato un prigioniero misterioso, arrestato nel 1669 o 1670, che fu detenuto in diverse prigioni. Per 34 anni, fino alla sua morte avvenuta nel 1703, lo sconosciuto cambiò i luoghi di detenzione seguendo sempre lo stesso ufficiale, che di volta in volta veniva trasferito a dirigere i diversi carceri. Si trattava di Benigne Dauverne de Saint-Mars, che presenziò anche alle esequie del detenuto, sepolto il 19 novembre 1703 nel cimitero parigino di Saint-Paul-des-Champs, con il nome fittizio di Marchiergues o Marchioly.
 Sono state fatte molte ipotesi, e scritti fiumi di parole sulla possibile identità di quest’uomo, di cui nessuno vide mai il volto, perché coperto da una maschera di velluto nero, assicurata da cinghie di metallo. Anche se la sua sfortunata vita può sembrare il frutto della fantasia di uno scrittore, in realtà esistono numerose testimonianze sui vari spostamenti che fu costretto ad effettuare: Maschera di Ferro arrivò alla Bastiglia nel 1698, proveniente dalla fortezza Fort Royal, nell’isola Santa Margherita. Ancora prima era detenuto al Forte di Exilles, dove era arrivato dopo essere stato incarcerato a Pinerolo per dodici anni.
 Anche se Maschera di Ferro godeva di indubbi privilegi, come cibo abbondante e di qualità, abiti di lusso, il permesso di tenere libri nella sua cella, le restrizioni a cui era sottoposto erano disumane: non poteva parlare con nessuno, tranne che col suo confessore, che agiva sotto il vincolo del segreto, così come il medico che lo curava in caso di malattia. L’altra persona con cui poteva scambiare qualche parola era il comandante delle guardie, ma solo per argomenti relativi alla sua detenzione. Aveva il permesso di togliersi la maschera per mangiare e per dormire, ma mai e poi mai in presenza di altre persone.
 Tutte queste notizie sono documentate da lettere, registri e testimonianze raccolte all’epoca della detenzione alla Bastiglia. In quegli anni furono fatte molte ipotesi sulla sua possibile identità: forse un conte francese, o un lord inglese, o un parente di qualche nobile europeo, insomma, circolarono una ridda di voci probabilmente messe in giro ad arte, per confondere le acque.
Voltaire, dopo aver sentito parlare di Maschera di Ferro durante una sua breve detenzione alla Bastiglia, fece diverse indagini che lo portarono a scoprire la data della morte, il nome falso usato sulla tomba, e anche alcune discrepanze sulla presunta età del detenuto. Le conclusioni cui arrivò il filosofo sono ineccepibili, anche se non risolvono il mistero:
  • Nessuno poteva parlare con il prigioniero, che era conoscenza di qualche grave segreto, possibile fonte di guai per qualche personaggio altolocato
  • La sola vista del volto del prigioniero poteva creare sospetti, doveva quindi trattarsi di un personaggio conosciuto
  • Eliminare fisicamente questa presenza così scomoda non era una soluzione percorribile, forse per motivi politici o affettivi.
Voltaire, come successivamente fece Dumas, arrivò alla conclusione che poteva trattarsi di un fratellastro o di un gemello di Luigi XIV, da tenere nascosto per evitare possibili contestazioni sul diritto di successione al trono. Hugh Ross Williamson sostiene che Maschera di Ferro era il padre naturale di Luigi XIV, la cui nascita fu effettivamente quasi miracolosa: avvenne vent’anni dopo il matrimonio tra la regina Anna e Luigi XIII, forse addirittura impotente all’epoca del concepimento, e che comunque non frequentava il letto nuziale da quindici anni.
Secondo questa ipotesi, per assicurare la successione al trono, ed evitare così che vi salisse il suo nemico Gastone d’Orleans (fratellastro di Luigi XIII), il potente Cardinale Richelieu avrebbe convinto il re, con l’assenso della regina, a farsi sostituire nel talamo da un giovane rampollo nelle cui vene scorresse sangue reale.
In questo caso, un’imbarazzante somiglianza tra Luigi XIV e il padre naturale, avrebbe decretato la condanna di quest’ultimo a portare la maschera di ferro per tutta la vita.
 Per tentare di risolvere il mistero, bisogna partire dalla Fortezza di Pinerolo, dove venivano rinchiusi pochissimi prigionieri alla volta. Il misterioso detenuto mascherato doveva essere tra i sei che poi seguirono Saint-Mars nei successivi spostamenti: la spia Dubreil, un monaco giacobino, un servo di nome La Riviere, l’ex ministro delle finanze Nicolas Fouquet, il conte italiano Antonio Mattioli, e un uomo chiamato Eustache Dauger, imputato di avvelenamenti e crimini sessuali. Quest’ultimo non era un prigioniero così importante da richiedere le misure di sicurezza adottate con Maschera di Ferro. Tuttavia, potrebbe essere stato effettuato uno scambio di persona con l’ex ministro Fouquet, dato per morto nel 1680. Comunque, nemmeno Fouquet pare essere un personaggio così pericoloso da giustificare il totale isolamento.

Una delle ipotesi più attendibili identifica il conte Ercole Antonio Mattioli con Maschera di Ferro. Il nobile italiano era un controverso personaggio che conduceva un doppio, se non triplo, gioco politico: informatore dei Savoia, del re di Francia e di quello di Spagna, era sicuramente a conoscenza di svariati e forse pericolosi segreti, ma comunque utile da vivo, proprio per le possibili rivelazioni che poteva fare al governo francese. Inoltre, fu registrato alla Fortezza di Pinerolo sotto falso nome, cosa che poteva provocare un incidente diplomatico tra la Francia e Casa Savoia, motivo che giustificherebbe l’obbligo della maschera. Anche se Mattioli risulta morto nel 1694, non può esserci la certezza che non sia stato effettuato uno scambio di persona. Altro indizio a favore di questa ipotesi è il nome inciso sulla tomba dove fu sepolto Maschera di Ferro, “Monsieur Marchioly”, che ricorda molto il cognome Mattioli.
Le ipotesi, talvolta attendibili, sono molte. C’è però in ognuna di loro qualcosa che alla fine non quadra con tutta la storia. Quello della Maschera di Ferro resterà probabilmente un mistero irrisolto, sepolto insieme a Luigi XV, l’ultimo che seppe chi fosse in realtà il detenuto misterioso, protagonista, a suo dire, di “una faccenda poco importante”.

Fonte :http://www.vanillamagazine.it

domenica 18 giugno 2017

Locandina pubbilicità occhiali Persol

Verso la fine degli anni 80 e negli anni 90 andavano alla grande. Li ho posseduti anch'io.

mercoledì 14 giugno 2017

Soldatini in plastica smontabili "Giopi" .

Vecchia pubblicità del 1976 (se non ricordo male era presente sugli albi di Topolino ) atta a pubblicizzare dei soldatini di plastica smontabili ,che sinceramente al contrario degli Atlantic non ho mai posseduto. Smontabili si, ma non di questa marca. E voi ?