Non esistevano, non dovevano esistere, non c’erano prove dell’esistenza
di quelle quattro piccole “banconote” da una, due, cinque e dieci corone
austriache la cui conoscenza avrebbe potuto cambiare la Storia
dell’Italia, alla finestra nei mesi d’esordio della Prima guerra
mondiale.
Invece quei quattro biglietti con sovrastampa e marca fiscale (insomma,
banconote), stampati nella massima segretezza dal Governo nel 1915 a
Torino, erano adesso schierati sulla scrivania di Gerardo Vendemia,
trentenne casertano, esperto mondiale di cartamoneta che non ne ha
trovato tracce nei cataloghi e nei registri ministeriali. Esemplari
ignoti e unici.
ESEMPLARI UNICI
Davanti ai suoi occhi spalancati per quel “colpo”, che nella vita di un
collezionista può anche non capitare mai e che costringerà
all’integrazione dei testi di numismatica, cominciava un vertiginoso
viaggio nel tempo aperto da mille domande: che cosa sarebbe accaduto se
quelle ignote “banconote d’occupazione”, in quel frenetico aprile-maggio
1915, fossero state sventolate in Parlamento da Giolitti, leader dei
Neutralisti? Come avrebbe giustificato il governo Salandra quelle
“banconote” che rivelavano la clamorosa intenzione di invadere i
territori di Trento e Trieste dominati dagli allora alleati
austro-ungarici?
Quattro “banconote” in doppia valuta, corone austriache e lire italiane
(18 corone o 18 lire in tutto) per cambiare il corso della Storia
italiana.
Il 26 aprile 1915, mentre il furibondo confronto politico pende sempre
più a favore degli Interventisti, il governo, tenendo all’oscuro il
Parlamento, firmò il Trattato di Londra con Gran Bretagna, Francia e
Russia. Sul piatto Trento e Trieste, addio alla Triplice alleanza con
l’Austria-Ungheria, addio alla neutralità e ai neutralisti giolittiani e
cattolici: si andava alla guerra, ma gli italiani ancora non lo
sapevano.
Segretissimo era quell’accordo e segreta doveva essere a quel punto
l’affrettata stampa di quella cartamoneta in corone che l’Italia avrebbe
diffuso nel Trentino e nel Friuli Venezia Giulia una volta scacciati
gli ex alleati austro-ungarici. “Banconote d’occupazione”, prassi comune
per le nazioni che allargano con la forza i confini. Vendemia, titolare
del sito cartamoneta.com, mostra con orgoglio i biglietti dai colori
tenui realizzati con carta comune dalle Officine governative di Torino e
non da uno stabilimento della Banca d’Italia per garantire maggiore
riservatezza: si usano biglietti già in corso di stampa, modificati con
timbrature e marche fiscali per la doppia valuta.
LA MATTANZA
Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra e ben presto svanisce il
sogno di un conflitto breve, sostituito dalla mattanza nelle trincee.
E quella serie segreta di quattro “banconote” purtroppo non più così
urgente da utilizzare? Per 102 anni non se n’è saputo nulla. Non ne
erano mai stati trovati esemplari o riferimenti nei registri. Il massimo
per un collezionista. È formidabile trovare qualcosa di raro, ma di cui
è nota l’esistenza, figuriamoci quando ci si imbatte in qualcosa la cui
realtà è ignota.
Il massimo sarebbe stato anche per un cronista ritrovarsi fra le mani,
magari grazie a una “talpa”, magari un tipografo torinese neutralista,
quei biglietti in quel “maggio radioso”: l’articolo sulle “banconote
d’occupazione” avrebbe rivelato in anticipo la scelta interventista del
Governo, forse avrebbe svelato all’opinione pubblica, e agli
austro-ungarici, il patto di Londra. Se non a impedire l’entrata in
guerra, la notizia di quelle quattro banconote avrebbe potuto
ritardarla.
«C’è voluto parecchio tempo – racconta Vendemia, ingegnere – per
completare le verifiche, per mettere a confronto cataloghi e registri.
Poi la conclusione da brividi: questi biglietti fior di stampa (il
massimo in fatto di conservazione) sono unici e vanno persino oltre il
grado supremo della rarità, ovvero quella sigla “U” appunto per gli
esemplari unici. Il governo Salandra, non c’è che dire, voleva agire in
segreto e c’è riuscito ben oltre il suo mandato».
Ma in euro quanto valgono quelle quattro banconote? «Mancano precedenti,
ma non mi stupirei che in Italia la serie toccasse quota 50mila euro,
quotazione di rilievo anche per i mercati internazionali».
Mistero per mistero, come ne è venuto in possesso? «Diciamo che sono
stato contattato dall’erede di un funzionario di banca. Però qualche
piccolo segreto, almeno per ora, me lo lasci».
FIOR DI STAMPA
Per dare la caccia ai tesori, Vendemia raggiunge spesso l’Inghilterra e
la Francia, esamina collezioni. «E intanto si studia la Storia, la
Politica e l’Economia. Ogni volta che si tiene fra le dita un biglietto
raro ci si commuove viaggiando nel tempo e sulla carta geografica. A chi
non è nativo digitale basta sfiorare le banconote delle vecchie lire
per ripensare all’infanzia, oppure si resta senza fiato di fronte a
banconote di artisti come l’incisore Trento Cionini. Roberto Mori, già
direttore centrale per la Circolazione monetaria in Banca d’Italia, ha
scritto che la moneta ha tanto da farsi perdonare. Ma al tempo stesso la
moneta e la cartamoneta hanno tanto da raccontare».
E mentre parla Vendemia mostra le diecimila lire “lenzuolo” del
dopoguerra, le piccole “am lire” diffuse dall’esercito americano che
risaliva l’Italia dal 1943 al 1945, le mille lire che si sognava di
“avere una volta al mese”, le irraggiungibili banconote da 500 mila lire
di Raffaello che ci hanno portato fino all’Euro. Un fruscìo di
banconote che non ha nulla di venale.
Fonte :
http://www.ilmessaggero.it