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sabato 18 giugno 2016
domenica 5 giugno 2016
La manifattura del tabacco nella Roma pontificia
LA LAVORAZIONE DEL TABACCO VENNE INTRAPRESA A ROMA ALLA METÀ
DEL XVIII SECOLO. VARIE FURONO LE MANIFATTURE PAPALI. NEL 1863 PAPA PIO
IX NE INAUGURÒ LA SEDE STABILE A TRASTEVERE, EVENTO RICORDATO IN UNA
MEDAGLIA.
di Fabio Robotti
L’uso del tabacco venne introdotto nella Roma pontificia dal cardinale Prospero Publicola de Santa Croce (1514-1589) che, in qualità di Nunzio Apostolico in Portogallo, ebbe l’occasione di incontrare, alla corte di re Sebastiano I, l’accademico di Francia Jean Nicot (1530-1600) e di sperimentare il fiuto del tabacco. Il celebre erudito francese, che in quel periodo ricopriva l’incarico di ambasciatore aveva, infatti, impiantato una coltivazione di tabacco nei giardini reali di Lisbona.
L’uso del tabacco si diffuse rapidamente a larghe fasce della società poiché era diffusa la credenza che la sua assunzione, fiutandolo ovvero fumandolo in pipa, giovasse alla salute per le sue virtù medicali.
Segue: LA MANIFATTURA DEL TABACCO NELLA ROMA PONTIFICIA
articolo completo in formato pdf, tratto da Panorama Numismatico nr.318 – Giugno 2016
di Fabio Robotti
L’uso del tabacco venne introdotto nella Roma pontificia dal cardinale Prospero Publicola de Santa Croce (1514-1589) che, in qualità di Nunzio Apostolico in Portogallo, ebbe l’occasione di incontrare, alla corte di re Sebastiano I, l’accademico di Francia Jean Nicot (1530-1600) e di sperimentare il fiuto del tabacco. Il celebre erudito francese, che in quel periodo ricopriva l’incarico di ambasciatore aveva, infatti, impiantato una coltivazione di tabacco nei giardini reali di Lisbona.
L’uso del tabacco si diffuse rapidamente a larghe fasce della società poiché era diffusa la credenza che la sua assunzione, fiutandolo ovvero fumandolo in pipa, giovasse alla salute per le sue virtù medicali.
Segue: LA MANIFATTURA DEL TABACCO NELLA ROMA PONTIFICIA
articolo completo in formato pdf, tratto da Panorama Numismatico nr.318 – Giugno 2016
venerdì 3 giugno 2016
Medaglia Monastero San Benedetto Pisa 1978
Si tratta di una medaglia commemorativa per il restauro della facciata dell'ex monastero delle benedettine sul lungarno di Pisa.
http://www.sbappsae-...lle-benedettine
L'ex monastero, chiuso al culto, venne acquistato e restaurato dalla Cassa di Risparmio di Pisa.
Contorno: liscio
http://www.sbappsae-...lle-benedettine
L'ex monastero, chiuso al culto, venne acquistato e restaurato dalla Cassa di Risparmio di Pisa.
Dritto | Verso |
---|---|
. • CASSA • DI • RISP _ ARMIO • DI • PISA • •figura allegorica, velata, seduta di fronte, regge frutti in grembo |
- • RIPRISTINO • _ MONASTERO • DI • S. BENEDETTO • _ • ANNO • 1978 • Prospetto del Monastero in basso: M. BERTINI |
giovedì 2 giugno 2016
Il Conte Ugolino della Gherardesca
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Share to Facebook75Share to TwitterShare to Google+Share to PinterestShare to Più...33Dopo la sconfitta dei Pisani nella battaglia della Meloria (1284), divenne podestà di Pisa.
Per fronteggiare le pressioni delle città alleate con Genova, il conte Ugolino cedette ai Lucchesi e ai Fiorentini alcuni castelli, tra cui quelli di Viareggio, Bientina e Fucecchio.
L’anno seguente rafforzò il suo potere, associandosi al nipote Ugolino Visconti.
Dopo alcuni mesi di prigionia, nel 1289, vennero lasciati morire di fame. La torre fu riaperta quando non si sentì più provenire da essa alcun gemito e i corpi furono sepolti nella chiesa di San Francesco.
Subito dopo l’arcivescovo Ruggieri si fece nominare podestà di Pisa, ma sopraffatto dai contrasti interni e dalla violentissima bolla papale scagliata contro di lui nel 1289 dal papa Niccolò IV, rinunciò al suo ufficio e si recò a Viterbo, dove morì nel 1295.
Il conte Ugolino nell’Inferno di Dante
Il conte Ugolino della Gherardesca deve la sua notorietà al ruolo di protagonista che Dante gli assegna in un episodio tra i più ampi dell’Inferno (Canto XXXII, vv.124-139; Canto XXXIII, vv.1-90).
La storia precedente la prigionia non viene raccontata da Dante perché si tratta di una vicenda nota ai lettori del tempo.
La scena alla quale Dante si trova ad assistere è orribile e raccapricciante: un dannato addenta furiosamente il cranio di un altro. Dante chiede allo spirito chi sia e perché odii a tal punto il suo compagno di pena. Lo spirito interrogato risponde. È il conte Ugolino, e si accanisce contro l’arcivescovo Ruggieri, pisano come lui. Fidandosi di quest’ultimo, Ugolino era stato ingannato e imprigionato in una torre con due figli e due nipoti. Trascorsi alcuni mesi egli era stato turbato da un sogno: durante una battuta di caccia guidata dall’arcivescovo Ruggieri, il conte Ugolino e i suoi venivano azzannati da cagne fameliche. Svegliatosi all’improvviso aveva sentito i figli piangere e chiedere cibo nel sonno. Di lì a poco le porte della torre vengono inchiodate. I figli invocano l’aiuto del padre, ma egli non risponde alle loro domande e richieste per un giorno intero e una notte. Alle prime luci del nuovo giorno riconosce nei loro volti emaciati la sua stessa sofferenza dettata dalla fame e in un momento di furore si morde le mani. I figli equivocano quel gesto e si offrono in sacrificio al padre. Allora Ugolino si calma e nei giorni successivi si trova costretto ad assistere alla morte di ciascuno di loro; lui è l’ultimo a morire. Terminato il racconto, il conte Ugolino si avventa di nuovo sull’arcivescovo Ruggieri: il conte morde il cranio dell’arcivescovo o perché questi lo affamò o perché (seguendo un’interpretazione vicina al mito di Crono) fu ridotto a cibarsi dei figli per colpa sua.
fonte: studiarapido.it
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